Nuovo appuntamento con il grande tifoso Roberto C. La nuova elucubrazione di Roberto parte dalla grandiosa e inattesa vittoria contro l’Inter pe offrirci un’interessante riflessione sull’amore incondizionato che si prova verso la Sampdoria.
Via all’elucubrazione:
Avevo scritto questo articolo in un momento buio della Samp guardando lo schermo spento mentre dall’altra parte tutto si muoveva nella direzione peggiore. Sicuramente è una mia fissazione, questo atteggiamento, una visione contorta di una realtà non dissimile da altre della stessa dimensione sportiva. Ma come dice il poeta “Io nel pensier mi fingo” perché questa situazione è tutta in un sentimento grande, in un incorporeo mondo che mi cattura.
Cerco di dare una spiegazione di questa mia strana condotta e l’unica risposta valida è che tutto risiede nella privata sfera affettiva. Poi è arrivata l’insperata vittoria con l’Inter ed ho rivoltato tutto ma ancora una volta mi sono piegato all’emozione e ho virato su un’altra partita appena i nerazzurri hanno ridotto le distanze. Mi dico che è troppe bello vincere e proprio per questo non lo credo possibile. Rimando tutto ad oltre la fine della partita con il solito gioco della classifica nel televideo. Vedo che il Milan è primo a 37 punti e non l’Inter a 39 bensì a 36. E’ fatta! Credetemi che anche così la goduria è grande! Veniamo al punto.
Un giorno, mentre come tutte le persone “sane” mi trovavo a guardare la partita, sono stato raggiunto in sala da mia moglie che vedendomi tutto compreso in ciò che stava avvenendo sul campo di gioco ha detto una frase che mi è rimasta molto impressa ed ha aperto un flusso di pensieri per giungere ad una necessaria interpretazione: “Tu ami la Sampdoria ma lei non ama te!”
Sembra un’affermazione apodittica, inoppugnabile, perché il rapporto non è tra due entità riconoscibili ed evidenti come appunto sono un uomo ed una donna ma un legame tra un’entità fisica ed una puramente “nominale”. E quindi come può una natura immateriale manifestare sentimenti ad un essere pensante?
L’amore che nutriamo per tutto ciò che è arte: musica, pittura, letteratura, ci viene restituito con l’assoluto afflato per la ricerca di una vita migliore, più “alta”, e che in certo qual modo giustifichi il senso della stessa esistenza. E si tratta comunque di valori fermi ed immutabili nella loro rappresentazione. Ma come è invece il rapporto bilaterale con una squadra di calcio che non è una misura statica del proprio essere ma una “formazione”, è proprio il caso di dirlo, in movimento?
Ad esempio la visione di un quadro di Vermeer porta un sentimento inalterabile per l’eterna bellezza che sprigiona e non prevede reazioni che non siano di stupore e benevolenza. Così come l’ascolto della Quinta Sinfonia di Beethoven. Ma una squadra, una società, è un bene “mobile” che determina sentimenti contrastanti a secondo del risultato sportivo che ottiene ogni volta e che possono determinare reazioni di gioia e dolore. Ma allora di che amore si tratta? Direi una forma di affezione indistruttibile perché un partner traditore si può lasciare ma è impossibile per una squadra di calcio (o altri sport). La si eleva per una vittoria esaltante e la si perdona, pur con molta rabbia, per una sconfitta che arreca sofferenza. E’ una presenza che ci segue lungo tutto il corso della vita e dalla quale non ci si può staccare perché appunto diventa un valore assoluto. E forse la si sente più vicina proprio nel risultato sfavorevole perché, come nel mio caso, non si accetta che in qualche modo venga violata. Diventa un bene personale, intoccabile.
Arsène Wenger, trainer dell’Arsenal per 23 anni, scrive nel suo libro “La mia vita in bianco e rosso. Le mie passioni, il mio calcio”, che per lui il calcio, appunto, è una questione di vita o di morte. E traccia un sentimento che è mio proprio per quanto è vivo nei confronti della Sampdoria. “E’ stato così – dice – fin da quando giocavo nei campionati distrettuali della Francia orientale. La sconfitta mi ha sempre provocato dolore, anche fisico. E’ un fatto sensoriale. Quando vinci, una parete spoglia è un bel paesaggio. Se perdi diventa insopportabile anche la vista del mare”. Già, proprio così. La sconfitta diventa un fatto opprimente perché ci rende vittime impossibilitate a qualsiasi risposta, impotenti e demoralizzate di fronte ad un fatto sul quale non abbiano alcuna presa concreta. Siamo soli con noi stessi e ci laceriamo senza avere un conforto perché il nostro è un rapporto unilaterale ma estremamente forte, una presenza impalpabile e pur intensa.
La Sampdoria diventa un bene inalienabile che serbiamo nel cuore e per il quale non accettiamo commistioni che non siano il suo essere così nella nostra immaginazione, carissima amica e dispensatrice di emozioni. Una compagna di vita che ci piace immaginare come un alito magico che spira tra le strade di Genova e sapere che c’è un posto dove la si può raggiungere e questo per me è sempre stata la vecchia Sede in Via XX Settembre al numero 33 quando la potevi vedere materializzarsi nella figura del nostro caro Presidente Paolo Mantovani e magari rappresentarsi con le sembianze di Francis e Gullit. E ora leggo che Jersey, un’isola a 45 miglia al largo delle coste francesi ma soggetta alla monarchia britannica, con completa autonomia finanziaria e politica, ospita virtualmente la sede della Samp poiché il trust Rosan (chi?) che detiene il 100% della Sport Spettacolo Holding Srl., a sua volta proprietaria della società blucerchiata e regolata dalla legge di questo piccolo paradiso fiscale della Manica, ora passa a Trust Service di Gian Luca Vidal che amministra il trust “Rosan”. Tutto questo su corpo e immagine della vecchia Samp che è stata di Paolo e prima del caro Avvocato Mario Colantuoni. Questo è un autentico scempio perpetrato nel tempo assurdo della finanza senza cuore e sentimenti. Pare che mentre noi la viviamo con il puro animo della passione, la nostra Samp sia diventata il trastullo con cui giocare tra oscure pratiche di astrusi movimenti economici e monetari. Sembra proprio un sequestro di persona con stupro. La nostra fidanzata…in mani apocrife.
Ecco allora quello che desidererei dal nuovo anno, a parte, in primis, l’affrancamento da questo flagello che ci ha privati di una parte di vita oltre ad averla tolta completamente a tante altre persone. E, se possibile, la liberazione dall’ignoranza e mala infermità mentale di chi percepisce gli avvenimenti esistenziali con una visione completamente strabica e anticipa ogni comportamento con la particella NO specie nel campo in cui è del tutto digiuno. Come diceva Ludwig Wittgenstein “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”. E mai detto fu più sacrosanto.
Come sampdoriano vorrei che la nostra “amata” tornasse in mani possibilmente autoctone, cioè di chi vive attivamente la specifica del territorio, non necessariamente genovese, come ad esempio Paolo Mantovani che di fatto lo era poi diventato. Un nuovo presidente, degno rappresentante di un’ importante tradizione che riporti noi tutti all’antica fierezza di un tempo così ben significata da un nome ed una maglia, e magari sognare di vederlo in un’ideale Via Venti affacciato al balcone tra osannanti tifosi mentre presenta un nuovo Trevor e un nuovo Ruud.
Siamo in tempi di auspici positivi per l’anno nuovo e ce n’è veramente bisogno, intanto per la possibilità di raggiungere una vita più consona e senza i patemi cui siamo costretti da quasi un anno sperando che la ragionevolezza porti la maggior parte delle persone a scegliere la strada che ci porterà alla liberazione da questo pandemico virus.
E quindi, da cittadini e sampdoriani, la speranza è di riuscire a voltare pagina, in tutti i sensi. Non posso che concludere alla maniera di Ian Solo “Che la forza sia con…noi!”
P.S. Chiamiamolo tecnico. Secondo me la Samp non è così male come qualcuno vuole dipingerla. E’ un po’ incostante, è vero. Ma ha dei giocatori validi come Keita, Darmstaad, Candreva, e altri come Jankto, Thorsby, Gabbiadini e Audero che mi sembra assai migliorato. Senza parlare di Quagliarella che avrà anche 38 anni ma ha già messo a segno 7 reti. Con i sei punti gettati via tra Benevento e Bologna saremmo a due lunghezze dalla tanto decantata Atalanta.
2 commenti
Caro Roberto,
che dire!
COMPLIMENTI!
A mio parere uno dei più bei post che tu abbia mai scritto!
Tua moglie ha mica detto una cosa da niente…c’è davvero da riflettere sul legame che ci lega ad squadra di calcio, un’entità che si trasforma, che negli anni vede cambiare calciatori, presidenti, obiettivi e quant’altro…
Quanto a te, mi procuri un mix di sensazioni quando riporti la tua sofferenza per ogni partita della nostra amata…
Da una parte mi fai sorridere a pensarti davanti al televisore, che spilli la classifica, davvero da pazzi :-)))
Dall’altra mi fai tenerezza ( una tenerezza non compassionevole, sia ben chiaro ! ), è quasi commovente percepire quanto tu riesca a soffrire per partite non dico insignificanti ma insomma…dove il pathos è, almeno per me, quello che è…ed è per questo che mi viene spontaneo chiederti: ma come hai fatto a sopravvivere all’epoca d’oro?:-)
Cioè, se vai in totale sofferenza per un Samp-Inter come quello di ieri, in quel famoso Inter-Samp del 5 maggio 1991 come diavolo stavi?:-))))
Un caro saluto!
Caro El Cabezon,
Ti ringrazio dei complimenti che, senza piaggeria, devo ricambiare perchè il tuo è il più bel commento che abbia mai ricevuto in quanto poggia unicamente sul fatto emotivo e sentimentale che ha riguardato il mio intervento.
Condivido la forza delle sensazioni che provi quando immagini le mie reazioni e mi commuove quando affermi che ti faccio tenerezza. E’ un sentimento bello perchè rispecchia il mio stato d’animo di quei momenti. Tutto ciò avviene specie in certe partite per le quali il risultato lo ritengo scontato in partenza e poi vedendo che viceversa diventa favorevole non riesco accettare l’idea che possa svanire e allora fuggo da una realtà che potrebbe diventare molto amara e mi rifugio nella fantasia, momenti che trascorro immaginando tutto ciò che può avvenire lontano dal mio sguardo. E’ un tempo sospeso nel quale può succedere tutto e il suo contrario. E il finale con la classifica spillata come a poker, se è come domenica, ti assicuro che porta una felicità assoluta. Ammetto di essere alquanto contorto. Il 5 maggio 1991 non ero allo stadio ma se ci fossi stato sarei uscito prima. Mi rendo conto che l’amore per la Samp mi fa fare cose alquanto astruse. Ma non sono il solo. Ho un amico medico che non vedo da molti anni ma ricordo che allo stadio si trasformava letteralmente diventando irriconoscibile. Una volta si è attaccato alle griglie della tribuna ed è stato ripreso da uno steward che lo conosceva con le parole “Dottore non faccia così”. In occasione della partita pareggiata in casa con il Cagliari (2-2)nell’anno dello scudetto è salito insieme ad un suo collega d’ospedale sul muretto di Via del Piano davanti all’ingresso della Tribuna gridando alla folla di tifosi “Ci vogliono rubare lo scudetto!” Mi dirai che dalle mie parti siamo tutti un pò matti! Forse è così. Comunque ti ringrazio delle belle parole. Un caro saluto da Roberto.