Nuovo appuntamento con Roberto, storico tifoso doriano e autore delle Memorie Blucerchiate.
Roberto ricorda uno dei giornalisti sportivi piu’ importanti degli ultimi decenni, capace di intrecciare lo sport all’epica e alla letteratura come solo grandi maestri prima di lui hanno saputo fare. Spazio dunque a Roberto C. e al suo ricordo del grandissimo Gianni Mura
Quello che noi chiamiamo tempo in realtà è un’entità inesistente inventata dall’uomo per dare un senso alla vita. La cronologia dei fatti così sistemata diventa Storia. In effetti, se ci pensiamo bene, l’unico fenomeno oggettivo è il momento, se vogliamo prosaico, nel quale crediamo di esistere, quello in cui, ad esempio, sto scrivendo queste mie impressioni. Il solo aspetto che rimane, a testimonianza, è l’espressione dell’Arte che nel tempo “finito” dell’esistenza potrebbe rappresentare, in un confronto al momento improbabile con un’entità “diversa”, l’aspetto migliore dell’uomo.
E comunque, per avvalorare quello che siamo, in funzione di ciò che siamo stati, ci avvaliamo della possibilità di scavare tra le pieghe del passato per tornare a rivivere momenti indimenticabili che pur a volte non abbiamo vissuto ma che sono diventati archetipi dei nostri ideali. Ad esempio, come genovese, il tempo della scuola dei cantautori che mi ha visto presente fisicamente ma al momento non l’ho percepito non essendo parte attiva di quel movimento.
E comunque anche per gli stessi artisti non è esistito quel tempo specifico ma solo porzioni di attività legate l’un l’altra che nel futuro vengono ricordati come un atmosfera permanente. Ma non è così. La vita è tutta un inganno perché se potessimo tornare indietro capiremmo che il percorso della Storia diventa inevitabilmente retorica nel momento in cui viene ricordata. La nostra presenza in quel passato non sarebbe altro che un continuo presente. Il lastricato dell’esistenza è solo illusione e va vissuto proprio così, traendo da esso tutti quegli aspetti che nel benevolo sotterfugio ci portano piacere. Come il ritorno virtuale nella Milano degli anni cinquanta/sessanta, quella delle case di ringhiera e della via Gluck, della Sei Giorni di ciclismo su pista al Velodromo Vigorelli, e delle serate uggiose a bere vino nei trani che ritroviamo nelle storie cantate da Gaber e Jannacci. Quella dei grandi giornalisti sportivi, e non solo, come Gianni Brera e Beppe Viola che hanno lasciato un segno indelebile con un linguaggio disincantato, anomalo, anticonformista, ricco di humor. E anche quella del “figlio” di cotanti giganti, il grande Gianni Mura che ci ha lasciati improvvisamente qualche giorno fa.
Quando ho letto su Repubblica la carrellata di ricordi dei suoi colleghi ammetto di essere stato invidioso. Rammenti di giornate trascorse insieme in mille trasferte, il dibattito, il racconto, il rito del pranzo conviviale e la ricerca del vino più adatto. Una vita intensa, autentica.
Nel momento in cui scompare una figura come Mura si apre nell’animo una profonda voragine ed il pensiero si sedimenta nell’increspato tessuto di un felice passato.
Ho ritagliato una fotografia in bianco e nero di una cena classica del giovedì con Brera, Mura e tutti gli amici della redazione nel mitico ristorante meneghino Riccione. Di cosa avranno parlato in quelle sere? Magari poco di calcio e sport e forse più di vita corrente, cultura, anche donne, perché no? Nell’osservare la scena si comprende come la fantasia sia il miglior toccasana nella conduzione della vita quotidiana. Come immaginare di aver partecipato alle esperienze di Mura a San Siro, o al Tour de France, o a mangiare nei mille locali di Italia. O ancora ripensare al tempo in cui si cantava “sapessi come è strano sentirsi innamorati a Milano” e poi sussurrare alla propria amata “Non arrossire quando ti guardo”. Contraddicendomi non poco guardo a quel tempo passato come a qualcosa di irripetibile perché magari qualche giovane di oggi potrà fare analoga operazione tra qualche decennio. Però… però, a mia discolpa devo aggiungere che non vedo nel panorama odierno artisti, scrittori, giornalisti di tale vaglia. Non ci sono De Andrè, Tenco, Bindi (Gino Paoli è appunto l’ultimo residuo di quell’aurea età) Brassens, Trenet, Aznavour (per varcare i confini) e nemmeno Pirandello, Svevo, Montale e Pasolini, o Proust, Joyce e Thomas Mann. E pure i grandi giornalisti, in questo caso sportivi e colti, come appunto quelli che abbiano appena raccontati.
E allora addio Gianni Mura, fuoriclasse e formidabile reporter.
Ti saluto così come facesti nel ricordo del tuo grande amico e sodale gioanbrerafucarlo : Ti sia lieve la terra.