Torna l’appuntamento con Roberto C, grande tifoso blucerchiato e autore delle Memorie Blucerchiate. Quella di Roberto è un’analisi antropologica del tifo. Cosa ci lega profondamente ad una squadra e nel caso specifico alla Sampdoria? La risposta di un decano del tifo blucerchiato.
Qualche giorno prima del derby ho avuto modo di verificare, in maniera direi definitiva, la significanza del termine “tifoso” che ha inevitabilmente un’univoca rappresentazione.
Parlando con mia moglie della partita stracittadina che si sarebbe giocata ho dovuto rispondere ad una sua domanda assai ingenua ma giustificata dal fatto che lei non si è mai interessata direttamente di calcio se non nei riflessi degli esiti che porta a me in conseguenza di vittorie o peggio sconfitte, o ancora la mia collocazione un po’ stramba quando mi accingo a vedere la Samp in Tv. In questo caso mi guarda, giustamente, come fossi un marziano per via delle eccentriche manifestazioni che il tifo mi porta a fare.
Nel caso specifico mi ha chiesto perché un genoano non può diventare sampdoriano. O viceversa, naturalmente.
Le ho risposto che questa è una delle pochissime eventualità da catalogare alla voce : impossibile. Ma lei ha ribattuto: “anche se una donna lo chiedesse come prova d’amore?” Anche, anche. E sì perché questo è il classico caso in cui ciò che domina il soggetto non è propriamente un desiderio della volontà ma un sentimento storicizzato, cioè un processo in divenire che parte da una data lontana e si cristallizza in un’appartenenza che si manifesta come fatto immutabile. Scusate il ragionamento un po’ contorto ma volevo evidenziare il fatto che la condizione del tifoso non dipende da un desiderio che come tale può anche variare nel tempo. Essa è il frutto di un ancoramento che avviene in un momento qualsiasi della nostra vita e da allora si manifesta come un fatto definitivamente compiuto e indipendente da qualsiasi moto di eventuali nuovi propositi. E’ come l’amore per una persona. Esso nasce da imperscrutabili fattori di cui il sentimento porta le manifestazioni esteriori ma al tempo stesso non si può imporre. Ci sono eventi nella vita che si vivono fortemente ma sono difficili da spiegare. Un po’ come la famosa domanda che si poneva Santagostino “Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se dovessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so…”
Questi sofismi sono necessari per capire la valenza dell’essere tifoso “vero” di una squadra di calcio, essenza e spessore che non si possono trasferire a personaggi “di passaggio” come ad esempio sono i calciatori. I quali, in determinati momenti, manifestano apprezzamento ed ancor più attaccamento alla maglia che portano addosso ma che non può essere la passione del tifoso “senza se e senza ma”. Loro sono professionisti e rispondono unicamente a questo stato che li fa accettare una qualche proposta, magari economicamente più corposa, che può giungere da altri lidi. A meno che non si chiamino Totti. Ma questa è la classica eccezione che conferma la regola.
Ecco perché non ritengo giusto bollare di infamia giocatori che certe volte possono indossare ambedue le maglie di squadre della stessa città. Specie se hanno militato, in una o l’altra, per pochi mesi o anche qualche anno.
E ora passiamo dalla teoria alla pratica.
Leggo su Repubblica nelle pagine di Genova (lunedì 16 dicembre 2019) che “ La grande festa dei calciatori negli spogliatoi, dove salta e celebra la sampdorianità anche l’ex rossoblù Bertolacci….”. Poteva fare qualcosa d’altro? Non credo. E quindi è giusto così. Nelle risvolti dei fatti nazionali c’è invece una grande fotografia scattata a San Siro sopra al titolo “120 Milan” che, nei festeggiamenti nel ricordo del 13 dicembre 1899 quando nell’allora Hotel du Nord et des Anglais (oggi Principe di Savoia) Herbert Kilpin da Nottingham fondò il Milan Foot-Ball and Cricket Club (anche loro….) nella quale foto risultano in posa e sorridenti 38 personaggi che hanno fatto la storia della società milanese tra cui Baresi, Capello, Rivera, Allegri, Altafini, Sormani (Angelo Benedicto che giocò nella Samp e nel campionato 1964/1965 mi illuse molto nella partenza sparata a 10 punti dopo sei partite e che vantava il quintetto magico, Frustalupi, Lojacono, Sormani, Da Silva, Barison) e, guarda un po’, accasciato tra Tassotti e Antonelli chi c’è? Pietro Vierchowod che qualche giorno prima aveva partecipato, da Carmine, alla cena ricordo dello scudetto blucerchiato. Poteva fare qualcosa d’altro? Non credo. E quindi è giusto così. Ancora un esempio. C’è un allenatore, al momento libero da impegni, che, ovviamente, sarebbe felice di subentrare sulla panchina di qualche club. Nel suo curriculum ha una straordinaria promozione raggiunta con i play off conquistando l’ultima posizione buona (6° posto). Fatto per ora unico. C’è anche una squadra della stessa città che probabilmente dovrà cambiare trainer. Perché il mister “disoccupato”, in caso di richiesta (nulla è impossibile..) non dovrebbe accettare?
C’è pure un altro allenatore che, specie per noi doriani, più antipatico di così non si potrebbe immaginare. Mettiamo che, in un futuro-non-so-quando, venga richiesto per la nostra di squadra e che lui, inspiegabilmente, accetti, e che, ancor più stranamente ci porti in Champions (come sta facendo ora fin troppo bene…). Cosa faremmo in quell’occasione? Sarebbe ancora disprezzato o non, viceversa, portato in trionfo?
Quando, alla luce di un’analisi profonda, si comprendono queste cose, tutto assume un’immagine diversa. Il tifo resta rinchiuso nel “sancta, sanctorum” privato e collettivo dove si nutre di un sentimento senza fine. Gli uomini (giocatori, allenatori) invece, vanno e vengono ma non possono rimanere ancorati ad una realtà che non li comprende appieno per la loro natura di nomadi.
Sono un po’ stanco. E’ meglio che mi fermi qui.
2 commenti
Sui giocatori non mi esprimo perche’ ormai sono esclusivamente un mezzo per raggiungere un fine…quanto all’ amore per la propria squadra, a differenza di quello per il partner, non cambiera’ mai, a meno di non chiamarsi emilio fede…
Non a caso il personaggio in questione stava nel bieco caravanserraglio con tutti gli squallidi adulatori del capo di cui alcuni, delegati a rappresentare il popolo, hanno contribuito a rovinare il nostro paese in questi ultimi vent’anni. Quelli che hanno votato la mozione che considerava la marocchina come nipote di Mubarak!! E qualcuno ora ha anche un’ alta carica istituzionale. Questi venderebbero la madre al migliore offerente, figuriamoci la squadra!