Appuntamento con Roberto C., autore delle Memorie Blucerchiate. Roberto ci presenta un viaggio nel calcio moderno, visto con gli occhi del tifoso romantico che ormai da decenni segue le gesta dell’amata Sampdoria.
Così come gli uomini immaginari rinchiusi e incatenati nella caverna concepita da Platone non possono comprendere la realtà della vita al di là dell’antro se non percependone l’ombra proiettata dal fuoco che arde dietro di loro e che scambiano per realtà, così per chi sostiene l’impalcatura del tifo è impossibile comprenderne la realtà più prossima se non si riesce a volgere lo sguardo oltre la vuota spelonca del calcio nazionale. Mi è venuto spontaneo questo parallelo con il mito filosofico greco per eccellenza navigando sulla stampa in ordine ad articoli riguardanti il mondo del football che più di ogni altro incarna la fusione tra sport e business. Parlo, ovviamente, della Premier League, dove, il solo inserirsi a livello informativo in quella realtà, fa comprendere quanto ancora sia lunga la strada da percorrere per le nostre società così lontane dagli standard di successo dei club d’oltre Manica.
Ad esempio il “piccolo” Burnley che, al momento in cui scrivo, si trova al quindicesimo posto in classifica con uno score di 24 punti. Leggo dall’inchiesta del Sole 24 Ore (Domenica 29 dicembre 2019) che questo club dell’omonima cittadina delle Midlands di 88 mila abitanti, località satellite di Manchester, da cui dista solo 34 chilometri, e più piccolo centro della Premier League, si trova a competere con il suo dirimpettaio più famoso, in termini di bilanci e numero di sterline, quel Manchester City (per non parlare dell’United) che gli sceicchi hanno rilevato nel 2008. Il presidente del Burnley, Mike Garlick, è nato a pochi passi dallo stadio e già a 18 anni sognava quella carica che attualmente lo vede all’ultimo posto, il più povero, nel campionato più ricco e potente del mondo con 5 miliardi di sterline di soli diritti tv. Ma la sua società è un esempio di modello calcistico con i conti a posto in perfetto equilibrio. Ai 600 milioni di ricavi dell’Emirates contrappongono i 45 milioni di utili realizzati nella stagione 2017-2018. Con “appena” 139 milioni di ricavi la piccola navicella riesce a barcamenarsi nello stesso mare in cui navigano i grandi transatlantici del City e United. Il monte stipendi del club ammonta a 82 milioni di sterline più o meno come un singolo giocatore del City. Venendo ad un raffronto con le cose di casa nostra vediamo ad esempio che i ricavi della Sampdoria (bilancio 31.12.2018) equivalgono a 141.773.568 milioni di euro con utili per 12.052.939 per 36 milioni circa di stipendi per i giocatori. Le cifre del Burnley sono da ritenersi in sterline e si tratta di cittadina in ordine di abitanti sette volte più piccola di Genova. Mi sembra di capire, nel raffronto di questi numeri, quanto sia difficile immaginare le “magnifiche sorti” di un prossimo futuro blucerchiato e quanto le glorie del passato siano destinate a restare tali. Il raffronto con le grandi società del continente risulta quasi impari anche per le nostre squadre di alta classifica se andiamo a vedere i risultati sportivi che vedono la sola Juventus avventurarsi in direzione di obiettivi che però, alla stretta finale, risultano sempre impraticabili. Le “grandi” Inter e Lazio si sono sciolte come neve al sole, il Napoli lo sarà prossimamente così come l’Atalanta che, pur da complimentarsi per il suo cammino in Champions, ha fatto il massimo e presumo non sarà ancora così per gli anni a venire.
Ormai il calcio ha perso l’aura del passato tradizionale quando poteva vantare come valore assoluto l’esprit di un tempo in cui si esprimeva ancora l’epica di uno sport che anteponeva lo spirito ludico allo strapotere del business rappresentato ora dall’invadenza senza fine dei procuratori che hanno contribuito a snaturare il mercato e quindi tutti i meccanismi che fanno girare la ruota del calcio. Se pensiamo che il trasferimento di Pogba dalla Juventus al Manchester United avrebbe portato nelle tasche di Mino Raiola, grazie a due accordi distinti con i due club, la bellezza di 49 milioni, possiamo immaginare quali distorsioni ci sono state negli ingranaggi di un mondo sempre in espansione. Ne è passato di tempo dall’era…..precolombiana quando nel 1952 il Napoli pagò all’Atalanta una cifra definita “folle” (105 milioni di lire, circa 53000 euro. Ronaldo ne guadagna 86.000 al giorno) per l’attaccante svedese Hasse Jeppson che i tifosi partenopei definirono subito “ ‘o Banco ‘e Napule” (Il Banco di Napoli). Eppure, nonostante questa deriva che sembra inarrestabile, accade una cosa, ancora oltre Manica, che desta grande stupore. Da un servizio sul Venerdì di Repubblica (3 Gennaio 2020 – Numero 1659) scopriamo un fatto apparentemente inspiegabile che riguarda proprio i tifosi del Manchester City la squadra, appunto, più ricca del mondo, che vent’anni fa giocava nell’equivalente Serie C italiana e che ora vale 4,8 miliardi di dollari ma fu acquistata nel 2008 da Mansour bin Zayed Al Nahyan, miliardario della famiglia regnante di Abu Dhabi, per la sciocchezza di 210 milioni di sterline. Non poteva rivolgere lo sguardo a Genova blucerchiata? Dopo tutto proprio Sampierdarena un tempo era detta la “Manchester d’Italia”.
E dunque vediamo come la storia possa ribaltare una situazione da drammatica a…..spaziale. Vent’anni fa ci fu lo spareggio a Wembley per l’ammissione alla serie superiore (dalla C) e a due minuti dalla fine il Manchester soccombeva per 2-0 contro il Gillingham (?). Cinque minuti di recupero furono sufficienti per il pareggio e poi i calci di rigore portarono al City vittoria e promozione. Quell’anno (il mercoledì precedente) l’United vinse la Coppa dei Campioni. Ma con l’arrivo di Mansour tutto è cambiato. Il 50% dei club di tifosi ora è fuori dal paese, in America, Indonesia, Vietnam, Singapore, Cina, e ciò che si percepisce in città è nettamente cambiato. Intanto la società ha obbligato i tifosi a rimuovere bandiere e striscioni dal secondo anello perché ostruiscono la visibilità dei LED pubblicitari. Risultato: l’ Etihad risulta il nono impianto della Premier League per seggiolini vuoti con il paradosso che la squadra di casa ha vinto, nell’ultimo anno, tutti e quattro i titoli disponibili in Inghilterra. E’ avvenuta una mutazione genetica del club che non è piaciuta affatto ai tifosi di Manchester in particolare allo scrittore Colin Shindler che un tempo scrisse il libro “La mia vita rovinata dal Manchester United” ed ora ha scritto il seguito intitolato “Il Manchester City mi ha rovinato la vita” la cui tesi dice che si è perso il senso di appartenenza di una volta che così riassume “Io penso che la vecchia generazione di tifosi senta un distacco emozionale con la proprietà araba, come se avessero reciso i nostri legami con il club. E una squadra forte, certo, ma è come se vincesse la squadra di un altro”. E tutto ciò contrasta, incredibilmente, con l’immagine antica di questa società che era legata ad un senso di sconfitta, quasi permanente, che portava ad un destino da eterni sfortunati che veniva definito “tipical city” con il quale si identificavano tutte le disgrazie della squadra. Come la retrocessione del 1996 all’ultima giornata quando, pur rimontando due gol al Liverpool, si ritrovano in B per la differenza reti. L’articolista si chiede “Può mai un romantico non amare tutto questo?”.
Ecco un bell’argomento su cui disquisire. Per me, soprattutto, che ho sempre sognato il Paperone, magari saudita, che portasse la Samp a dominare il calcio italiano. Uno dice “beh intanto proviamo, che per le analisi sociologiche c’è sempre tempo”. Le idee di grandezza sono dure a morire anche in un momento come quello attuale in cui si è costretti a navigare in acque limacciose e si desiderano ardentemente due cose come linfa vitale per un futuro in cui la parola sogno non sia del tutto estinta. Innanzi tutto, ca va sans dire, la salvezza e poi, se il dio del calcio lo vorrà, la fine di un brutto periodo in cui, tornando ad un’idea di romanticismo, l’idea e l’amore per la Sampdoria non sono stati così tanto bistrattati con una bislacca, a dir poco, direzione, che fa dire a tanti tifosi, giustamente, che la stessa “non li rappresenta”. E poiché siamo consci del fatto che non possediamo credenziali come appunto quelle citate della squadra inglese, saremmo comunque soddisfatti di una nuova guida seria e autorevole e magari con qualche disponibilità finanziaria. Però osservo anche che la nostra Samp non ha perso del tutto l’antico appeal e lo si comprende meglio se si considera che Ranieri ha accettato la panchina blucerchiata cosa che non credo avrebbe fatto per altre pericolanti. La nostra squadra/società ha ancora un certo marchio e un potenziale acquirente non partirebbe da zero ma, come un novello Troisi, ricomincerebbe da….tre! La Società, appunto, una grande tifoseria con uno zoccolo duro di quasi ventimila abbonati che non interferisce nelle vicende direzionali (a parte il caso specifico attuale più che giustificato…) e un bravissimo allenatore che, con le spalle coperte da una forte proprietà, potrebbe veramente riportare il sogno come elemento vivo nel cuore e nella mente di tutti gli amanti blucerchiati. Non dimentichiamo infatti che il successo di Leicester a mio avviso è da ascrivere tra i più grandi della storia del calcio europeo.
Certo il miraggio conduce a nomi irraggiungibili come il Re degli occhiali (Del Vecchio) o Mister Nutella (quello con la effe maiuscola) che sono però lontanissimi dal mondo del calcio. Ma al di là di queste assai improbabile figure personalmente preferisco rappresentanti del territorio (inteso anche come Italia) perché, se ci si fa caso, fondi, cordate, emiri e orientali vari difficilmente portano a casa successi extra nazionali. In casa nostra dalla sempre vincente Juventus, alla Lazio, all’Atalanta i risultati parlano chiaro, pur nel ristretto dei confini nazionali. Nel resto d’Europa vediamo le super società autoctone Barcellona, Real Madrid, sempre vincenti nei trofei continentali mentre le allogene PSG e Manchester City risultano eterne perdenti. Paradossalmente gli unici successi sono stati ottenuti con proprietà “locali”, per i francesi nell’anno 1995/1996 e per gli inglesi nel 1969/1970. Cosa hanno vinto? La Coppa delle Coppe, quella portata a Genova da un grandissimo presidente italiano. Un autentico patrizio* romano. E il cerchio si chiude.
(*Per dire, qui non c’è posto per i plebei.)
2 commenti
Io vivo il presente… le partite, il mercato (di oggi), eccetera.
Tuttavia il “sogno” c’è sempre, dentro, e oggi si tratta di una proprietà molto danarosa ed appassionata, che possa alzare le aspettative di uno, o due, o tre gradini. O quattro, o sette.
Però il sogno non deve diventare lamentela, andare a vedere partite di serie A comunque non mi dispiace… C’é anche chi segue squadre che giocano in serie C, ed é contento, e ha comunque i suoi obiettivi.
Non é che per esser soddisfatto dall’auto devi averne una da duecentomila Euro; anche con un decimo di quel denaro ti puoi giostrare tra la lettura di recensioni, visite ai concessionari, poi l’acquisto e appunto un certo piacere di possesso, del tutto concreto e legittimo. Non é che guidi sospeso ed insoddisfatto in attesa di indovinare sei numeri da uno a novanta per comprare qualcosa di meglio. Anche perché tutto poi é relativo, ma non mi dilungo.
Certo il sogno é sempre e comunque da me “covato”.
Però credo, e spero, nessuno dica e pensi che sia una situazione che non vale la pena di essere vissuta, che non consente di trovare comunque soddisfazioni. Sarebbe da malati pensarlo, nel caso sarebbe proprio il caso di dedicarsi ad altro nel we come interessi.
Sogno, e passione per il presente, possono e devono convivere.
Se andassi dallo psichiatra a parlarne penso che verrebbe fuori che nei meandri della mia anima sono assolutamente sicuro di un futuro scintillante della Sampdoria, ma che non so in che tempi si possa verificare, che possono anche essere lunghi, ma la certezza che ci sarà fa comunque covare nel subconscio l’idea di qualcosa di molto bello che deve arrivare.
“Ma guarda quei ragazzi, che fan cose da pazzi, per la loro squadra in A..
E se la luna, ci porterà fortuna…”
Personalmente sono altre le cose che mi disturbano del calcio moderno: le parite tutti i giorni a tutte le ore, tessere del tifoso e biglietti nominativi, caro biglietti stratosferico ( i tifosi del parma han rinunciato alla trasferta a torino), il professionista bertolacci che magari torna al cenua…quanto al resto penso che qualsiasi tifoso aspiri a vincere tuttto, poi se ha scelto una squadra per amore e non per convenienza (tipo un leccese o un avellinese che anziche’ tifare lecce o avellino sta coi gobbi) la continua a seguire sempre, comunque e dovunque (conosco ultras del savona a cui va tutta la mia stima e simpatia che si sobbarcano centinaia di km per seguire i biancoblu’ e poco importa se sono in cinque, cinquanta e cinquecento, lo stesso dicasi per le migliaia di ultras di tante piccole realta’)