Torna l’appuntamento con le Memorie Blucerchiate: Roberto ricorda Luisito Suarez, un grandissimo campione recentemente scomparso.
A LUISITO SUAREZ
Quando il calcio era poesia,
era un mito allora sconosciuto
ma che avremmo ricordato,
perché quella era narrazione fantastica
leggenda da aspirare,
quando la vita non era ancora stata tradita
dai facili consumi
dall’appiattimento delle menti,
quando sembrava che l’utopia
potesse diventare prassi
quando ascoltavamo le partite alla radiolina,
il secondo tempo in onda alle ore sedici,
ma d’inverno alle quindici,
quando tutto questo avveniva,
un miracolo che sembrava fatto normale,
quando l’Inter del Mago Herrera
vinceva gli Scudetti,
e le Coppe dei Campioni,
quando un immenso giocatore
pennellava palloni come fossero
un’opera d’arte da fermare
in un’eterea cornice,
quando tutti sentivamo nostra una squadra
che non era la nostra,
quando tutti sapevano a memoria
la filastrocca che iniziava con
Sarti, Burgnich,Facchetti,
quando tutti amavamo “El Arquitecto”
come lo chiamava il “divino” Di Stefano,
perché il calcio era un suggestivo carme,
delizia per un mondo ancora semplice,
quando Luisito tesseva ricami
per tutti gli sportivi
per i tifosi di tutte le squadre
che la notte della “partita”
si addormentavano dopo aver visto
la Domenica Sportiva
con la voce di Sandro Ciotti
che raccontava le gesta
di un dio del calcio
che si chiamava Luis Suarez Miramontes.
Quando tutto questo
era all’inizio
e pur già finito.
E dopo alcuni mesi di silenzio, ecco il pensiero di Roberto:
Vorrei chiudere con due brevi considerazioni. Per prima cosa, ora che gli echi di “certi” trionfi dalle parti della nostra città si sono spenti ,mi sembra ovvio ritornare sul fatto che non sono queste le medaglie con le quali si può adornare una sede. Sono i successi autentici, coppe e scudetti, che fanno grande una società, ma come il latte hanno una scadenza e se questa risale al 1924 è chiaro che il prodotto è più che rancido. Da buttare.
Poi c’è un fatto molto personale. La possibilità di finire nel baratro mi aveva allontanato psicologicamente dal mondo del calcio che sentivo ormai come cosa che non mi apparteneva più. Ora invece quando transito in Corso De Stefanis, e vedo lo stadio, penso a questo come il momento di una rinascita che potrebbe portarci lontano, sento che in fondo “siamo tornati” perché, come dice giustamente il nostro allenatore, l’appartenenza alla massima serie non risiede unicamente nella categoria in cui si gioca ma in una forma mentale che è patrimonio di un brand, di una società che lo ha acquisito nel corso della sua illustre esistenza. Ed infine, last but no least, da rimarcare il peso specifico di una tifoseria che ha trainato il carro quando le ruote affondavano nella melma dimostrando che l’amore è sopra tutto e tutti, cioè come si dice nelle formule matrimoniali, “nel bene e nel male, finché morte non vi separi”.
1 commento
Perdonami, Roberto se mi intrometto nel tuo magnifico ricordo di Suarez.
Ieri è morto, come tutti noi sappiamo, Trevor Francis.
Per me, nella mia storia personale che mi lega alla Samp, era il più grande campione che ha vestito la nostra maglia. Con il più grande rispetto verso tutti i campioni..Vialli, Mancini, Gullit, Cerezo, Oczwirck…..
Da bambino e non essendo nato e vissuto a Genova e non avendo e questo lo invidio a tutti voi….aver il Doria nel DNA, “seguivo” la Sampdoria, come fanno i bambini…. inanzitutto per una caratteristica evidente e cioè la maglia stupenda.
Le avventure di Chiorri e specialmente Trevor hanno fatto si che il legamento fosse insolubile.
Francis ci ha consegnato il primo importante trofeo. Non ci potevo credere, un giocatore di quel livello viene a salpare sulla nostra nave. Quel eroe romantico d`oltremanica trionfatore nella coppa più bella di tutti i tempi…dove ogni paese vicino e lontano, affascinante e meno garregiava.
Trevor…grazie.